Login

alzheimer un algoritmoL'opportunità di una diagnosi precoce del morbo di Alzheimer potrebbe permettere strategie di trattamento mirate quindi più veloci, e, nonostante non esista ancora una vera cura, potrebbe migliorare di molto le condizioni dei pazienti affetti da questa patologia. A compiere un passo significativo verso un sistema diagnostico più semplice e tempestivo uno studio, descritto sulla rivista Nature Communications Medicine, svolto dagli scienziati del Centro di ricerca biomedica presso l’Imperial College di Londra. Il gruppo di ricercatori, guidato dal professor Eric Aboagye, ha sviluppato un approccio nuovo capace di scoprire la malattia anche in fase precoce mediante una semplice risonanza magnetica. La capacità di riconoscere i soggetti con morbo di Alzheimer in fase iniziale, chiariscono gli studiosi, può aiutare anche a capire meglio i cambiamenti cerebrali legati alla condizione.

Gli attuali test – caratterizzato da sintomi come difficoltà a ragionare, perdita di memoria, pensare e parlare, il morbo di Alzheimer è ritenuto la forma più comune di demenza, che ogni anno colpisce, purtroppo, circa 7 milioni di nuovi pazienti, secondo le stime dell’OMS. Nonostante i sintomi si manifestino intorno ai 65 anni, in alcuni soggetti possono comparire anche in età più giovane. Gli attuali esami per la diagnosi comprendono test di memoria e cognitivi e scansioni cerebrali. Fra gli indici di pericolo vi è anche la presenza di depositi proteici nel cervello o di alterazioni nelle dimensioni di specifiche regioni cerebrali. Questi passaggi possono richiedere tempo prezioso non solo per essere eseguite, ma anche per la restituzione del risultato.

Il nuovo metodo – l'équipe ha utilizzato un algoritmo sviluppato per la classificazione delle neoplasie e del cancro per permettere la diagnosi di Alzheimer mediante una semplice risonanza magnetica cerebrale (MRI). Questo approccio richiede pertanto l’utilizzo di una macchina standard da 1,5 Tesla, disponibile nella maggior parte delle strutture ospedaliere. Gli scienziati hanno diviso l’organo cerebrale in 115 sezioni, assegnando 660 diverse caratteristiche, come dimensioni, forma e consistenza, per valutare ciascuna regione. L’algoritmo è stato quindi addestrato per identificare se e quali alterazioni alle caratteristiche individuate possono prevedere con precisione il rischio di sviluppare i sintomi del morbo di Alzheimer. Il metodo è stato valutato tramite i dati dell’Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative, che comprendevano le scansioni cerebrali di oltre quattrocento pazienti con Alzheimer in fase iniziale e avanzata, oltre a un gruppo di controllo di soggetti sani e persone con altre condizioni neurologiche. L’approccio è stato inoltre testato grazie a una coorte di oltre ottanta pazienti sottoposti a test diagnostici presso l’Imperial College.

I risultati – Il sistema è stato capace di rilevare le persone a rischio di Alzheimer con una precisione del 98%. La distinzione tra stadio iniziale e avanzato della malattia veniva riconosciuta con una accuratezza del 79%. Contemporaneamente l’algoritmo ha permesso di individuare cambiamenti in zone del cervello non associate in passato al morbo di Alzheimer, come il cervelletto, la parte del cervello che coordina e regola l’attività fisica, e il diencefalo ventrale, legato a vista e udito. “Attualmente questa metodologia è la più semplice ed efficace per prevedere il rischio di Alzheimer – afferma il professor Aboagye – la nostra ricerca rappresenta pertanto un significativo passo in avanti, che potrebbe semplificare il processo di diagnosi. L’attesa dei risultati di diversi esami può essere un’esperienza orribile per i pazienti e i familiari. Se riuscissimo a ridurre le tempistiche di attesa, potremmo aiutare moltissime persone a individuare il percorso di trattamento più efficace. Continueremo a valutare questo metodo, che sembra molto promettente”.

“I neuroradiologi si basano già sull’interpretazione delle risonanze magnetiche per collaborare alla diagnosi di Alzheimer – conclude Paresh Malhotra, neurologo consulente e ricercatore presso l’Imperial College – ma potrebbero esserci caratteristiche non visibili a occhio nudo che potrebbero dimostrare la presenza di un rischio più elevato di sviluppare la condizione. In questo senso, l’uso di un algoritmo in grado di selezionare le caratteristiche strutturali del cervello potrebbe davvero migliorare la capacità di deduzione associata alle tecniche di imaging standard”.

 

Fonte: Ufficio Stampa C.P.  C.V.

 

 

 

STUDIO4 ok

Lavoro

strutture sanitarie300x400

ambulatori300x179

ambulanze300x300

covid2

infermiere pronto intervento

AMBULANZEbig new

FORMAZIONEfoto1W

shopping cart