Cervello newUn nuovo studio, pubblicato su Cell Metabolism, apre le possibilità a diagnosi più tempestive. I ricercatori , infatti, hanno scoperto che livelli elevati dell’enzima PHGDH nel sangue sarebbero un indicatore precoce dell’insorgenza dell’Alzheimer negli anziani. Nello studio, i ricercatori hanno analizzato il tessuto cerebrale osservando che i livelli di espressione del gene che codifica per PHGDH erano costantemente più alti negli adulti con diversi stadi della malattia di Alzheimer, anche nelle prime fasi prima che si manifestassero i sintomi cognitivi. Lo studio fornisce nuove prove a sostegno di questa tesi che era già stata evidenziata in precedenti ricerche.

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica una serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
Il nuovo studio indentifica il PHGDH come potenziale biomarcatore del sangue per il morbo di Alzheimer. I ricercatori hanno analizzato campioni di sangue di anziani e hanno riscontrato un forte aumento dell’espressione del gene PHGDH nei pazienti di Alzheimer, così come in individui sani, circa due anni prima che gli fosse diagnosticata la malattia. I risultati erano promettenti e i ricercatori erano curiosi di sapere se questo aumento potesse essere ricollegato al cervello. In questo nuovo studio, dimostrano che l’ipotesi è corretta.

Per questo nuovo studio, i ricercatori hanno analizzato i dati genetici raccolti da cervelli umani post mortem da soggetti in quattro diverse coorti di ricerca, ciascuna composta da 40 a 50 individui di età pari o superiore a 50 anni. I soggetti erano malati di Alzheimer, cosiddetti “asintomatici” cioè persone senza problemi cognitivi e senza una diagnosi di Alzheimer, ma le cui analisi cerebrali post mortem hanno mostrato i primi segni di cambiamenti correlati all’Alzheimer e controlli sani.


I risultati hanno mostrato un aumento consistente dell’espressione di PHGDH tra i pazienti di Alzheimer e gli individui asintomatici in tutte e quattro le coorti rispetto ai controlli sani. Inoltre, i livelli di espressione erano più elevati quanto più avanzata era la malattia. Questa tendenza è stata osservata anche in due diversi modelli murini della malattia di Alzheimer. I ricercatori hanno anche confrontato i livelli di espressione di PHGDH dei soggetti con i loro punteggi su due diverse valutazioni cliniche: la scala di valutazione della demenza, che valuta la memoria e le capacità cognitive di una persona, e la stadiazione di Braak, che valuta la gravità della malattia di Alzheimer in base alla patologia del cervello.

I risultati hanno mostrato che peggiori sono i punteggi, maggiore è l’espressione di PHGDH nel cervello.

Un’altra intuizione molto interessante per il futuro della cura dell’Alzheimer si riferisce all’uso di integratori alimentari che contengono l’aminoacido serina. I ricercatori invitano alla cautela nell’uso di tali sostanze poiché, sulla base di questa nuova ricerca, l’assunzione di serina aggiuntiva potrebbe non essere benefica. Infatti, il PHGDH è un enzima chiave nella produzione di serina e l’aumentata espressione di PHGDH trovata nei pazienti di Alzheimer suggerisce che anche il tasso di produzione di serina è aumentato anche nel cervello.

I ricercatori stanno studiando come questa scoperta della modifica dell’espressione del gene PHGDH influenzerà gli esiti della malattia, in quanto l’approccio potrebbe portare a nuove terapie per l’Alzheimer.

Fonte: La Redazione