malattia anderson fabryQuesta patologia è determinata da un accumulo lisosomiale ed è dovuta alla mancanza dell’enzima alfa-galattosidasi A. Ciò porta all’accumulo di glicosfingolipidi, in modo particolare globotriaosilceramide (Gb3), nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo, con danni a livello cardiaco, renale e del sistema nervoso centrale capaci di compromettere purtroppo, qualità e aspettativa di vita. I sintomi sono dolori anche molti forti agli arti (acroparestesie dolorose), stanchezza, febbre, intolleranza agli sforzi, a freddo e caldo eccessivi, qualche volta anche disturbi della vista e dell’udito, sintomi non specifici che rendono difficile una diagnosi, che può anche essere riscontrata con grande ritardo e in età adulta.

La trasmissione della malattia è ereditaria e legata al cromosoma X. Le madri, ad ogni concepimento, hanno una probabilità del 50% di trasmettere il gene difettoso ai propri figli, siano essi di sesso maschile o femminile. I padri con la malattia di Anderson-Fabry non trasmettono il gene difettoso ai propri figli maschi, ma solamente alle figlie femmine. In funzione di un meccanismo genetico conosciuto come “inattivazione del cromosoma X”, gli individui eterozigoti sviluppano la malattia in forma lieve, moderata o classica. Solitamente i maschi sviluppano la patologia in forma più grave, in ogni caso, anche all’interno della stessa famiglia, la malattia può presentarsi con sintomi ed evoluzione clinica molto diversi.

Per la malattia di Fabry si può utilizzare una terapia di sostituzione enzimatica (infusioni endovenose da effettuarsi generalmente ogni 14 giorni) e, per i pazienti che mostrano alcune specifiche mutazioni genetiche, anche una terapia a somministrazione orale.

A confermare il dato è un recente studio che ha valutato gli esiti renali e cardiaci di 560 pazienti trattati con il farmaco agalsidasi alfa

Un nuovo tassello va a consolidare quella che per gli esperti è diventata ormai una certezza: il trattamento per la malattia di Fabry, ovvero la terapia enzimatica sostitutiva (ERT), dev'essere avviata il prima possibile, senza aspettare che la patologia raggiunga uno stadio avanzato. Le raccomandazioni dei maggiori esperti, infatti, già dal 2015 consigliano di iniziare l'ERT nelle prime fasi della malattia per ottenere il massimo beneficio terapeutico. D'altra parte, non è mai stato dimostrato che l'ERT possa prevenire un'ulteriore progressione se iniziata in uno stadio avanzato.

Il mese dedicato alla patologia è Aprile e sono state molte le iniziative messe in campo dall’associazione italiana dei pazienti:

distribuzione presso gli ambulatori pediatrici di locandine dotate di QR Code da cui poter attivare la visualizzazione di “Un amico raro”, episodio speciale del cartone animato “Leo Da Vinci”, all’interno di un progetto che ha già ottenuto il patrocinio di Fondazione Telethon e della Società Italiana di Pediatria e Meeting online per pazienti, famiglie e medici.

Identificare la malattia permette di monitorarla adeguatamente ed intervenire con le terapie quando è opportuno e comunque prima del manifestarsi di danni d’organo irreversibili.

 Fonte: Ufficio Stampa C.P.